Nella cascina di papà Vittorio un presepe che dura tutto l’anno In dieci attorno al tavolo nella speranza che una «nuova mamma» raccolga il loro appello Quando si entra l’impressione è di trovarsi in una trattoria di campagna, con l’aria che profuma di cibo buono e l’enorme tavolo in legno attorno al quale, sulle panche, mangiano in molti. E c’è un gran daffare tutt’intorno: chi porta pietanze, chi cucina, chi versa il vino dalle brocche. I vetri sono appannati dal vapore e dal calore umano. Fuori il tiepido inverno, dentro un’allegria che sa di tenace affetto. A capotavola un uomo con la barba bianca e il berretto calcato in testa: «Sono cinquant’anni che me lo levo solo a Messa e per dormire», borbotta mentre si alza per accogliere la cronista. È Vittorio, il marito di Gemma, 63 anni come lei. Si alza da tavola per mostrarci la casa, ma prima si volta e raccomanda ai figli: «Iniziate pure, ma uno di voi dica la preghiera». Sembra un film d’altri tempi, invece siamo in un paesino del Varesotto, nella cascina da 300 metri quadri che Gemma e Vittorio hanno organizzato quasi a caserma: il piano terra per la zona giorno, il primo per le ragazze, la mansarda per i maschi. «Ci abbiamo messo un anno a ristrutturarla», racconta, e per un autotrasportatore come lui non dev’essere stato un sacrificio da poco. «Ma Dio ti restituisce tutto ciò che hai dato – asserisce -: io e Gemma ogni estate andavamo nei campi di lavoro come muratori volontari per tirar su chiese e case. Quando abbiamo avuto bisogno sono venuti tutti, compreso don Pietro». Aveva ragione Gemma quando, nel cercare una donna che voglia regalare amore e magari sia a sua volta alla ricerca di affetto, ci assicurava: «Portare avanti una famiglia del genere sembra un’impresa ma non lo è, anzi, è molto facile. Ognuno va avanti da sé, c’è chi lava, chi stira, chi fa i letti. E si respira una sintonia rara, lo scriva…». Quando il verdetto dei medici è diventato un conto alla rovescia, Gemma e Vittorio si sono rivolti ad Avvenire «perché la nostra vita è stata tutta improntata alla fede: non cerchiamo una donna qualsiasi, ma una persona credente, che continui nella strada tracciata…». Le piante di casa sono rigogliose: le curava Gemma. Quattro cani e quattro gatti, suoi naturalmente, la cercano per le stanze. L’albero di Natale è addobbato ma il presepe è piccolo quest’anno: «Lo faceva la mamma», dice Giovanna. Ogni cosa in quella casa parla di Gemma, e saperla in quel letto d’ospedale crea un vuoto ora assurdo e crudele: è qui il suo posto, lo è terribilmente. «Ma la volontà di Dio non si discute – dice Vittorio -. Ci siamo tutti e dieci seduti intorno a questo tavolo e insieme abbiamo deciso il da farsi. Sia ben chiaro, non cerchiamo una moglie per me, cerchiamo una donna che ami questi figli». I quali ora ascoltano e sorridono, rifiutando ancora ciò che presto avverrà. «Loro non accettano che la mamma stia morendo. La notte di Natale la passeremo tutti in clinica con lei. Poi sarà lei a tornare a casa, vuole morire qui». Ora mangiamo intorno al tavolone di legno, lo ha fatto a mano Simone, il figlio morto di Aids. I ragazzi servono con dedizione quel padre tanto burbero quanto dolce quando si rivolge a loro. Vittorio li guarda uno a uno: «Tutti, sapendo che Gemma se ne sta andando, mi dicono smetti, chiudi tutto. Ma questo non è un albergo, è una famiglia. Una famiglia può chiudere?».
|